venerdì 8 agosto 2014

IL TRENO DEL PROGRESSO


Possiamo lamentarci finché vogliamo, ma dobbiamo – che lo si voglia o no – rassegnarci al Progresso. Possiamo menarla in lungo e in largo, trastullarci nelle solite frasi fatte (“piove governo ladro”, “signora mia dove andremo a finire”, “oddio, non ci sono più le mezze stagioni”…), ma spesso, se troviamo da ridire, non è perché il mondo va a rotoli: casomai perché non riusciamo a stargli dietro.
... E’ vero che, per bene che vada, fra 100 anni nessuno di noi sarà qui. Ma è anche vero che - a prescindere da tutto e da tutti - il mondo andrà avanti lo stesso, con noi o senza di noi. Come sempre, come prima, probabilmente meglio di prima. Per dire:
i nostri nonni, che hanno visto la guerra e forse conosciuto la fame, non potevano neanche alzare la testa di fronte al sindaco, al parroco, al farmacista, alla bidella della scuola. Invece noi, oggi, grazie a internet possiamo sputare e urlare su ogni cosa. E magari i nostri nipotini, un giorno, potranno financo vedere gli asini che volano, ma per davvero.

Molta gente che oggi si lamenta, dovrebbe riconoscere di aver semplicemente perso il treno.
... Quello del Progresso, che loro non hanno voluto prendere (forse perché hanno preferito voltarsi indietro, rimpiangere il passato, o magari perché pensavano di non potersi permettere un simile viaggio: per la serie “oddio, sta arrivando la rivoluzione e io non ho nulla da mettermi!).

Paolo Isotta (critico musicale del Corriere della Sera), è una di queste persone che sono rimaste a piedi. Attaccate ad un passato che non funziona più, hanno perso il treno. E adesso sputano sul Progresso che loro non hanno saputo vedere. Infatti, nei giorni in cui la fidanzatina di Silvio Berluska (la Francesca Pascale), si iscriveva all’Arcigay, lui si dimenava a spiegare sui giornali che non sopporta di essere definito omosessuale o gay perché vuol essere considerato un “ricchione”.
... E siccome è rimasto fermo alla Napoli di San Gennaro e degli scugnizzi (una Napoli che ormai non esiste più neanche nelle cartoline), ci tiene a sottolineare il suo ribrezzo per gli omosessuali che si atteggiano a persone “perbene”.

Appena mi è capitato
di leggere le penose dichiarazioni dell'Isotta, ho pensato di dover subito scrivere una lettera a Dagospia.
... Nella quale ho manifestato il mio disappunto per quanto avevo aveva detto. Naturalmente la ripropongo qui.



Alla Redazione di Dagospia: non ho la cultura e la spiritualità di Paolo Isotta (che ha avuto la fortuna di parlare direttamente con San Gennaro), dunque non lo critico se parla del cosiddetto “stato antropologico” dei gay (anzi: “gays” e “ricchioni”, dice lui!), con un linguaggio politicamente scorretto. Per carità, si esprima così, se usare certi insulti lo fa sentire più macho e meno fighetta. Continui a precisare che è contrario al – peraltro mai chiesto! - matrimonio in chiesa. E rimpianga quanto vuole il piccolo mondo antico degli scugnizzi virili e carnalmente violenti (che non si perdevano in femminei coinvolgimenti emotivi ed erano disponibili sul mercato con ogni cosa che respiri). Ma riconosca che finge di dissociarsi perché non vuole ammettere di essere fuori dai tempi e dalla storia (è più antico di un Solange che legge la mano o di un Zeffirelli che ancora cerca la sua Callas!). E visto che è cattolico, risponda ad una domanda: se realmente il matrimonio religioso è “un sacramento che Cristo ha previsto secondo forme immodificabili”, mi può spiegare quando e dove il Messia ha stabilito la formula precisa della etero-cerimonia, necessariamente celebrata da un prete maschio e celibe?
              
Natale Pellizzer




La mia lettera è anche al link che segue. E’ la n° 18 della rubrica di Dagospia: CLICCANDO QUI
Qualche giorno dopo la pubblicazione della mia lettera, una signora ha replicato al mio discorso. La lettera della lettrice è la n°9 a questo link di Dagospia: CLICCANDO QUI